(PRIMANOTIZIE) ROMA, 9 APRILE – La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di Roma che aveva disapplicato il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019 relativo alla dicitura “padre” e “madre” sulle carte di identità dei minori. Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte hanno stabilito che tale dicitura è “irragionevole e discriminatoria” perché non rappresenta le famiglie omogenitoriali, in particolare quelle formate da coppie dello stesso sesso che hanno fatto ricorso all’adozione in casi particolari.
Il caso specifico riguarda il figlio di una coppia di madri, una naturale e una adottiva, che avevano fatto ricorso alla stepchild adoption. Il Tribunale di Roma aveva ordinato l’utilizzo del termine neutro “genitore” sulla carta d’identità elettronica del minore, ritenendolo necessario affinché il documento, valido per l’espatrio, restituisse una rappresentazione conforme allo stato civile del bambino.
Secondo la Cassazione, il modello CIE predisposto dal Viminale non garantisce i diritti del minore né rappresenta adeguatamente “tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione”. In particolare, è stato ritenuto inaccettabile che una delle due madri venisse classificata con la voce “padre”, modalità non corrispondente alla sua identità di genere.
La sentenza segna un punto fermo in tema di diritti civili e famiglie arcobaleno, riconoscendo la necessità di una modulistica amministrativa più inclusiva e rispettosa delle diverse realtà familiari esistenti nel Paese. (PRIMANOTIZIE)